Le Origini. Parte Seconda. Di Paola Palmaroli

Con Leonardo da Vinci grazie al “Codice Atlantico”, considerato il più grande trattato di tecnica arriviamo ad una svolta fondamentale per la fotografia, seppur solo teorica. In questa raccolta di scritti si spiega il funzionamento della camera oscura e parallelamente quello dell’occhio. Il testo di Leonardo in particolare, letto oggi, risulta molto significativo in relazione a quelle che saranno le caratteristiche dell’apparecchio fotografico:

Dal Codice Atlantico Leonardo da Vinci 1508

Dal Codice Atlantico
Leonardo da Vinci
1508

La sperientia che mostra come li obbietti mandino le loro spetie over similitudini intersegate dentro all’ochio nello umore albugino si dimostra quando per alcuno piccolo spiraculo rotondo penetrano le spetie delli obbietti alluminati in abitatione fortemente oscura; allora tu riceverai tale spetie in una carta bianca posta dentro a tale abitatione alquanto vicina a esso spiraculo e vedrai tutti li predetti obbietti in essa carta colle lor propie figure e colori, ma saran minori e fieno sotto sopra per causa della detta intersegatione li quali simulacri se nascierano di loco alluminato dal sole paran propio dipinti in essa carta, la qual uole essere sottilissima e veduta da riverscio, e lo spiracolo detto sia fatto in piastra sottilissima di ferro”. Egli infatti immaginò la camera oscura, premessa per la macchina fotografica, descrivendone il funzionamento di base pur senza averla mai realizzata: ” Una scatola con forellino centrale attraverso il quale passava l’immagine di un qualsiasi oggetto illuminato che si proiettava, rovesciata, sulla superficie interna, opposta e perpendicolare a quella su cui era stato praticato il foro”. Dal 1568 in poi l’intuizione del grande Leonardo viene perfezionata dal veneziano Daniello Barbaro, dal medico milanese Girolamo Cardano e dal fiorentino Ignazio Danti, i quali posero sul foro attraverso cui passava l’immagine una lente biconvessa, grazie alla quale l’immagine stessa veniva riprodotta con maggiore definizione.

Seguirono migliorie che resero sempre più nitida l’immagine sul vetro smerigliato. Stiamo parlando di una macchina fotografica in embrione, in quanto permetteva la visione dell’immagine ma senza poterne conservare traccia alcuna e pur tuttavia  avrebbe aperto la strada per giungere dritto alla fotografia come la conosciamo oggi. Da una  macchina fotografica che permetteva la visione dell’immagine ma senza poterla conservare ci dirigiamo infatti verso l’idea perfezionata della stessa, grazie alla collaborazione tra Niepce e Daguerre che riuscirono ad ideare il modo per fissare le immagini su una lastra di vetro ricoperta di joduro d’argento, rendendo sempre più nitida l’immagine su vetro smerigliato. Il primo esperimento in assoluto per ottenere una fotografia, riconosciuto dalla storia, fu quello di Niepce che nel 1826 produsse la prima immagine fotografica, la famosa – Point de vue du Gras –  ovvero  – Veduta dalla finestra di le Gras -Ciò che colpisce è che l’immagine non appare per niente deteriorata. I ricercatori del Getty Conservation Institute di Los Angeles con l’ispettrometria a raggi X hanno svelato il segreto di tale conservazione: una lamina di stagno ricoperta di bitume, materiale fotosensibile, unito a olio di lavanda, che ha proprietà di indurirsi al contatto con la luce. A distanza di 177 anni l’immagine non appare per niente usurata dal tempo e da quel preciso istante, anno 1826, sarà tenuta in una scatola d’acciaio riempita d’argo, gas che ne assicurerà la conservazione. Nel 1828 Niepce e Daguerre si associarono e nel 1839 al figlio di Niepce venne riconosciuto il brevetto dall’Academie des Sciences.

 

H.Fox Talbot Microfotografia di una foglia, 1840

H.Fox Talbot
Microfotografia di una foglia, 1840

L’Inglese Fox-Talbot in seguito perfezionerà la scoperta introducendo nel procedimento la carta sensibile per la stampa. Carta che fu ulteriormente migliorata nel 1874 con l’introduzione sempre per merito degli Inglesi dei sali d’argento. Henry Talbot Fox nel 1821 collaborò nei suoi studi sulla luce con John Herschel a Monaco, mentre i suoi primi esperimenti nella riproduzione di immagini risalgono alla primavera del 1834 presso l’Abbazia di Lacock nel Wiltshire. Egli coprì dei fogli di carta da scrivere con una soluzione di sale comune e nitrato d’argento, rendendoli sensibili alla luce: fu sufficiente posare una foglia sulla carta ed esporla alla luce per rendere scure le zone non protette dalla luce. In questo modo ottenne un negativo della foglia. Chiamò questa tecnica shadowgraph, sciadografia. Successivamente a Ginevra Talbot scoprì che l’immagine poteva essere stabilizzata (quindi non più ricettiva alla luce) lavando il foglio con dello ioduro di potassio oppure con una forte concentrazione di sale. Questa procedura fu chiamata fissaggio, un termine proposto da Herschel. Talbot è stato l’inventore del processo negativo-positivo della fotografia attraverso una serie di cosiddetti “disegni fotogenici”. Il processo era il seguente: montare una varietà di soggetti sulla carta sensibile alla luce ed esporre a sole. L’esposizione della carta fotografica produce una “disegno di luce” ovvero una chiara descrizione del soggetto.

La microfotografia della foglia, datata 1840, è il primo risultato che ottenne da tale intuizione. Dobbiamo soffermarci a riflettere, ripercorrendo le varie tappe che condurranno alla nascita della moderna fotografia, che questi esperimenti venivano eseguiti da appassionati che trascorrevano il proprio tempo libero oppure dedicavano completamente i loro studi ed il loro lavoro a tentare di imbrigliare la luce per ottenere quello che già Leonardo da Vinci ed Aristotele stesso, in teoria, avevano intuito e studiato. A distanza di secoli venivano ripresi gli studi precedenti e rielaborati alla luce delle scoperte e degli scambi di informazione tra vari scienziati e singoli privati senza l’uso delle moderne tecnologie di comunicazione, incontrandosi durante viaggi di lavoro, nelle università  dove venivano istituiti degli incontri e dei confronti fra studiosi, attraverso lunghi rapporti epistolari. Quando scrivo che Talbot andò a Ginevra e lì compì degli esperimenti o discusse con John Herschel a Monaco sulla natura della luce vorrei che fosse chiaro quanto fossero più lenti gli scambi di informazioni ed i tempi per realizzare un’idea, un’intuizione. Se fate caso alle date intercorrono decenni tra le varie scoperte e le loro applicazioni.

H.Fox Talbot 1842,1843 Positivo-Negativo

H.Fox Talbot
1842,1843
Positivo-Negativo

Da una parte all’altra dell’oceano Atlantico le informazioni viaggiavano ma non esistevano ancora i fax od i telefoni od il web per accelerare gli scambi fra studiosi e realizzare in tempi sempre più ristretti un progetto come lo  intendiamo oggi. Da Leonardo da Vinci a Niepce abbiamo quasi tre secoli che li separano, mentre dal 1800 al 1900 le vie di comunicazione, i viaggi per nave, gli scambi tra singoli individui a livello universitario o per motivi di lavoro, per lettera o di persona, diventeranno sempre meno difficili accelerando il miglioramento della qualità della vita attraverso la realizzazione di invenzioni in tutti i settori della conoscenza umana e non solo nel campo della fotografia. Le ricerche di Talbot sulla luce si unirono nell’invenzione che lo rese famoso, la Calotipia o Talbotipia. Si tratta di un procedimento fotografico che permise la riproduzione delle immagini con il metodo negativo / positivo. Fu presentata alla Royal Society sette mesi dopo quella di Louis Daguerre, il dagherrotipo. Questo ritardo fece perdere importanza alla calotipia, anche perché il metodo utilizzato da Talbot era più laborioso di quello presentato da Daguerre, e di qualità inferiore. Nel 1844 pubblicò il volume The Pencil of nature, contenente 24 calotipi. In seguito la calotipia guadagnò infatti molto credito perché utilizzata per l’illustrazione a stampa: il negativo era inciso su lastre di rame e l’immagine riprodotta su una rotativa e quindi furono i libri e le stampe a migliorare la propria qualità di riproduzione grazie agli sforzi ed agli studi di Talbot  sulla fotografia. Il vantaggio dei calotipi  era il numero di stampe illimitate che si potevano ricavare da un negativo, il ritocco poteva essere eseguito sul negativo di stampa, sulla carta di stampa i toni potevano essere resi più caldi e gli errori si potevano scorgere più facilmente e quindi correggerli.

Paola Palmaroli


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